Il lavoro al casino Slovenia

Era il primo giorno di lavoro. Non mi ero neanche licenziata dal mio precedente impiego perché avevo deciso su due piedi di entrare a chiedere se ci fossero delle posizioni aperte e mi avevano assunto al volo, e messo subito all’opera. Avevo quindi chiamato l’hotel dove lavoravo dicendo che stavo male e che sarei tornata il giorno seguente. 

Se i miei avessero saputo quello che stavo facendo, mi avrebbero tolto la parola. Erano ferventi cattolici e non sopportavano la sola esistenza del casino Slovenia, figurarsi l’idea che io potessi lavorarci dentro. Per me, invece, il casino Slovenia rappresentava una via d’uscita dalla mia vita che era legata a quella dei miei genitori – il lavoro all’hotel non mi permetteva di guadagnare abbastanza – e dalla quale avevo bisogno di staccarmi, sia in quanto adulta, sia poichè la mia filosofia di vita si distanziava dalla loro.

Stare dentro quel posto era alienante ed eccitante allo stesso tempo. Non c’erano finestre, ma luci sfavillanti da tutte le parti, colori intensi che mi impedivano di rendermi conto del passare del tempo. E cosÌ mentre servivo i clienti del casino Slovenia mi sentivo su un altro pianeta, vivevo una vita che non mi apparteneva, e la cosa mi stuzzicava. 

Finito il mio turno, quel giorno, tornai a casa felice, con rinnovato entusiasmo perché mi apprestavo a portare avanti il mio piano per la libertà, piano che avevo in testa da sempre, ma che mai avevo contemplato seriamente: appena avessi messo da parte il denaro sufficiente, avrei lasciato quell’odiosa, piccola città di provincia e mi sarei avventurata in un posto più grande, dove le opportunità fossero maggiori, dove non avrei conosciuto nessuno, ed avrei potuto essere me stessa. Naturalmente, avrei dovuto mentire ai miei genitori, per evitare che mi impedissero di continuare a lavorare al casino Slovenia. La cosa non sarebbe stata facile, ma avevo tutte le intenzioni di studiare il mio piano nel dettaglio pur di riuscire a portarlo a termine. 

Arrivata a casa, però, dovetti fare i conti con la mia coscienza e con l’amore che provavo per i miei genitori. Mentire loro era ben più duro di quanto avessi immaginato. Quella sera mi addormentai piangendo, disgustata dalla persona che ero. Eppure, non riuscivo ad essere sincera con loro. Allo stesso modo, non riuscivo a lasciare il mio nuovo lavoro. Avevo davvero bisogno di fare quel percorso.

Il giorno della mia partenza arrivò relativamente presto. Scelsi di aspettare la Pasqua, sapendo che i miei avrebbero passato l’intera giornata alla parrocchia. Partii la mattina appena dopo averli salutati con la promessa che li avrei raggiunti. Lasciai una lettera sul tavolo della cucina che, sapevo, gli avrebbe spezzato il cuore, ma non potevo farci nulla. Non riuscivo a sentirmi abbastanza in colpa per la mia scelta da decidere di rimanere. Uscii di casa e mi chiusi la porta alle spalle per l’ultima volta. Non tornai mai più in quella casa.…